IPOCRISIE
La giornata mondiale dell’indifferenza, dallo Yemen alla Palestina

“Al fine di intensificare gli sforzi per prevenire e risolvere i conflitti e contribuire alla pace e alla sicurezza dei rifugiati, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha scelto di celebrare la Giornata Mondiale del Rifugiato il 20 giugno di ogni anno con la Risoluzione 55/76.”
Questa la frase che campeggia oggi nel sito dell’UNHCR per motivare l’iniziativa, nata nel 2001 che si è celebrata nei giorni scorsi.
L’ennesima, lodevole pubblicità progresso, travestita da risoluzione che oggi sembra più una iniziativa tragicomica di banskyana ispirazione che un qualcosa di utile, in un momento dove servirebbero più azioni concrete che figurine sul parabrezza. In un momento in cui le organizzazioni internazionali sembrano osservare gli eventi sgranocchiando iniziative benefiche.
Secondo uno studio dell’UNHCR al momento i rifugiati in giro per il mondo sono 70,8 milioni, il numero più grande mai registrato nella storia dell’umanità, la maggior parte dei quali provenienti da Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia.
Tra questi solo 26 milioni, metà dei quali minorenni, hanno lo status di rifugiato. Il resto si divide tra sfollati interni (come ad esempio palestinesi, siriani e libici che hanno perso la propria casa in conflitti moderni e non) e richiedenti asilo.
Per non contare gli apolidi: persone a cui sono state negate la nazionalità e l’accesso a diritti fondamentali quali istruzione, salute, lavoro e libertà di movimento tra i quali, stando ai più importanti organismi internazionali – UE e USA su tutti che ne negano l’esistenza – vanno annoverati i cittadini palestinesi, avendo perso il diritto anche di dare il nome a quello che rimane della propria terra.
Ma quando si parla di rifugiati non si può non pensare a tutti quei migranti che rifugiati non sono e fuggono intorno al mondo in cerca di libertà e normalità.
L’esodo
Nei giorni immediatamente precedenti alla pandemia il tema migratorio era il più discusso, specialmente dai cosiddetti populisti che hanno inasprito le condizioni dei migranti instillando paura nei loro ignari (coloro che ignorano) elettori, alzando muri e sostituendo la parola migrazione con la parola “invasione”.
Abbiamo osservato dalle nostre case il grande esodo centro-sudamericano verso “la terra delle opportunità”: gli Stati Uniti. Dal Messico al Nicaragua, da Panama al Guatemala, una migrazione biblica, che il governo Trump ha affrontato con modalità inumane e illegali alzando nuovi muri e dividendo le famiglie dai propri bambini come monito per scoraggiare nuove intenzioni migratorie.
Ma l’arca umana che naviga sulle americhe non è l’unica che contribuisce all’esodo nel nostro pianeta. Grandi masse di esseri umani migrano come rondini, gli uni accanto agli.
Tutti mossi dai nuovi venti di guerre assurde, talvolta invisibili. Dallo Yemen al Rojava, dalla Palestina al Donbass fino alla vicina Libia, al lontano e muto Kashmir e alla saggia India, che pare aver smarrito negli ultimi mesi tutta la sua saggezza cominciando un’assurda guerra all’Islam.
Abbiamo visto uomini, donne e bambini impattare sui loro stessi sogni, li abbiamo visti fuggire dalla povertà, dalla fame, dalla violenza, dalla morte. Venti di guerra hanno cambiato le loro direzioni in volo lasciando che i loro corpi cadessero in mare, finissero in cella (Libia, USA, Australia) o su cittadine spogliate della loro umanità (Lesbo, Calais, Aydin).
La giornata mondiale del rifugiato che si è celebrata nei giorni scorsi può avere un senso solo se vista dagli occhi dei paesi che non sono in guerra in modo da non vedere più i flussi migratori come un rischio ma come una doverosa opportunità, da cogliere ad ogni costo.
Perchè nessuno cambierà mai la mentalità dei vari Trump, Erdogan, Netanyahu o Putin, tantomeno l’ONU, specialmente visto l’orribile silenzio dopo le parole Erdogan di “invadere l’UE di rifugiati”.
Insomma se l’ONU volesse dare davvero un senso a questo giorno dovrebbe “imporre accoglienza ai paesi membri” al fine di evitare che si ripetano scempi come Lesbo, Caleis, Tripoli e ricordare che:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
(Il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani.)
Antonino Del Giudice
Nato a Napoli nel 1983 si laurea in Economia Aziendale presso la Federico II e lavora come consulente informatico da 8 anni.
Appassionato di viaggi nei Sud del mondo, riesce a girare on the road molti paesi dall’Asia al Centro e Sud America, con qualche parentesi in Africa, appassionandosi sempre di più a quella che è diventata negli anni la sua questione meridionale.
L’amore per i viaggi e l’interesse per gli ultimi le matura grazie ai libri di Tiziano Terzani, da cui apprende quello che poi è diventato il suo mantra “Il viaggio non è la meta ma la strada che percorri per raggiungerla” che lo scrittore pronunciò per enfatizzare l’autenticità e l’importanza di viaggiare via terra.
Napoletano purosangue apprende dal padre la passione per la città di Napoli e per la musica di Pino Daniele grazie al quale impara a conoscere tutti i segreti della sua amata città, in chiave blues.
Inizia la sua collaborazione con Identità Insorgenti nel 2019 con l’obiettivo di riuscire a raccontare tutti i suoi Sud.