Le mutande come forma di protesta: dalla storica pizzeria Umberto alla boutique Bacarelli

A qualcuno davvero non restano che le mutande. Ma certo è che in zona rossa le mutande si possono vendere. E tante altre cose (anche sul fronte dell’abbigliamento) no. E’ una delle infinite insensatezze delle scelte del governo. Così da oggi in molte vetrine della città sono comparse – in vetrina – le mutande, come simbolo plurimo della protesta, anche in negozi che vendono articoli di tutt’altro genere.
Quasi 800 gli aderenti in tutta la Campania alla protesta delle mutande
Sono circa 800 in i negozi che oggi in Campania hanno riaperto esponendo capi di biancheria intima per protestare contro le misure anti-Covid. Lanciando questa provocazione e questa forma di protesta. Tra queste anche negozi aderenti a Federmoda. Il decreto attualmente in vigore prevede infatti che in base ai codici Ateco i negozi di intimo, di abbigliamento per bambini o di articoli sportivi possano restare aperti anche nelle zone rosse. E così in molti esercizi sono state esposti boxer, slip e reggiseni.
La boutique di Roberta Bacarelli, di Federmoda Campania
Nell’elegante boutique di Roberta Bacarelli, in via Carlo Poerio, sempre aderente a Federmoda Campania, questa mattina tra abiti chic, in vetrina compariva una bella fila di culotte da donna.

“Dicono che possiamo vendere mutandine e reggiseni? Allora noi, nel rispetto delle regole, apriremo e venderemo mutandine e reggiseni. In qualche modo dobbiamo pur pagare i nostri dipendenti, pagare i fitti e portare il piatto a tavola. Non è possibile che una categoria merceologica decida del nostro futuro. La nostra idea – spiega Roberta Bacarelli di Federmoda Campania – è stata come un’onda che ha travolto i principali centri del commercio non solo di Napoli ma anche di Caserta, Salerno, Pompei, Castellammare di Stabia e altri comuni molto popolosi. È una forma di protesta civile che deve far riflettere su come non è la categoria merceologica a poter decidere il destino delle nostre attività commerciali, ma la sicurezza e il rispetto delle norme anti Covid nei luoghi dove vendiamo. C’è gente disperata che non può mangiare. Abbiamo avuto un’elemosina come sostegno. Se questi soldi li avessero usati per la campagna vaccinale avrebbero fatto molto meglio…”, ha spiegato la Bacarelli.
Anche in pizzeria compaiono le mutande: la vetrina dello storico ristorante Umberto
Ma non solo i negozi di abbigliamento hanno esposto le mutande. Una fila di slip è comparsa anche in via Alabardieri, nel quartiere Chiaia, nella vetrina della pizzeria Centenaria Umberto, dal 1916, riferimento per i napoletani che amano la buona tavola, la tradizione e la storia.

Ci spiega il titolare, ristoratore storico, Massimo Di Porzio: “E’ un gesto di solidarietà ai commercianti di Federmoda di Confcommercio. Abbiamo esposto anche noi da Umberto delle ‘mutande’ perché rappresentano una metafora della situazione attuale, che vede tutto aperto, anche in zona rossa, tranne i pubblici esercizi, negozi di abbigliamento e gioiellerie, ma consentita la vendita degli indumenti intimi”.
Nulla contro gli esercizi aperti ma luce sulle contraddizioni normative
“Nulla contro gli esercizi che sono legittimamente aperti – aggiunge Di Porzio – ma luce sulle contraddizioni di una normativa che limita solo alcune attività Quindi le mutande sono una provocazione, ma anche un indumento che permette ai negozi di poter accedere le luci ed aprire. Sono tutti stanchi di provvedimenti che limitano la possibilità di lavorare, senza riconoscere un cambio alcuna facilitazione sulle spese che devono essere comunque onorate: utenze, fitti, tasse sui rifiuti etc. Occorre un cambio di passo, anche nella campagna vaccinale, che è l’unica speranza per un futuro diverso e più sostenibile. I dati pubblicati dall’ ISTAT parlano di un milione di posti di lavoro persi e la crisi economica è dura tanto quanto la crisi sanitaria: bisogna prevedere delle politiche che permettano alle aziende di poter programmare le riaperture e la ripresa del lavoro, perchè non ci sono più risorse per pagare gli impegni”.
Lucilla Parlato
ha collaborato Valentina Castellano

Giornalista professionista. Ha iniziato la sua carriera a 20 anni, a Napoli, dove si è occupata di cultura e spettacoli per il Giornale di Napoli e il Tempo per poi emigrare a Roma, dove ha vissuto per quasi due decenni, lavorando nella carta stampata, in tv e sul web, con editori di tutte le aree politiche (da Mediaset alla web-tv di area pd, Sherpa-Tv). Negli ultimi anni capitolini ha ricoperto ruoli di capo ufficio stampa in diverse istituzioni (ministeri e parlamento). Ma nel 2014 è tornata a Napoli definitivamente: qui ha fondato l’associazione Identità Insorgenti con un gruppo di amici e colleghi storici, che editano questo giornale, per offrire un’altra narrazione del Sud.