Sfratto per la storica sartoria Canzanella (e per gli abiti di Eduardo). Per il Comune di Napoli la cultura non conta nulla

Dici abiti di scena, costumi, a Napoli e ti viene in mente Vincenzo Canzanella. La sua sartoria cinetelevisiva, la più antica della città, è vicino a Sant’Eligio, in uno spazio di 600 metri quadri dove sono esposti i costumi di stili ed epoche diversissime, indossati dai grandi del cinema e del teatro. 10mila abiti, tutti fatti a mano, e una sfilza di memorie da poter riempire un’enciclopedia. Ora Canzanella, che da un anno non prende l’ago in mano a causa della pandemia, è disperato. Il Comune di Napoli, con la solita disattenzione per la cultura, gli ha intimato lo sfratto. E lui si sente cadere le braccia di fronte all’idea di dover smobilitare, a 83 anni, mezza vita per destinarla chissà dove. L’ultima: gli hanno staccato la luce. Così apre solo la mattina, senza potersi nemmeno riscaldare.
Abbandonato dal Comune, che vuole sfrattarlo
Stupisce e offende – ed è l’ennesimo caso – che il Comune lo abbia praticamente abbandonato, relegandolo in una struttura fatiscente, un antico convento che versa in condizioni critiche e infiltrazioni varie. E che da qui voglia anche sfrattarlo, con centinaia e centinaia di abiti sartoriali che hanno vestito non solo da Eduardo De Filippo e la sua compagnia, ma anche grandi attori del cinema, del teatro nazionale, della lirica: capolavori di raffinatezza indescrivibile indossati dai più in vista del jet set internazionale.
Capolavori di sartoria che in un’altra città sarebbero trattati diversamente
Capolavori che potrebbero essere il vanto della città, rappresentandone la storia nel mondo dello Spettacolo e dell’alta moda. Ora questi gioielli di abilità sartoriale rischiano di essere ammassati in un deposito anonimo o, peggio, finire sulle bancarelle dell’usato di qualche mercatino di periferia. Lo schiaffo più ingiusto per chi, in questo ambiente e per questo lavoro, ha offerto il meglio delle capacità sartoriali, un patrimonio da tramandare con rispetto e venerazione, sapendo che lavori come questi sono frutto di amore più che di tecnica e abilità.
E’ possibile che questo scempio si compia nell’indifferenza della città?
Sergio Valentino